Le spranghe di Milano
“Chiedo al sindaco Letizia Moratti di organizzare i funerali di mio figlio, di trasformarli in una manifestazione sulla sicurezza, perché Milano non è una città sicura se dei ragazzi di diciannove anni vengono abbattuti come animali. Bianchi o neri non importa, quello che importa è che in questa città si possa vivere. Chiedo allo Stato, a Berlusconi, a Bossi di spiegare agli italiani che gli stranieri non sono delinquenti, perché qualcuno fa presto a prendersela con noi”. Le parole del padre di Abdoul William Guibre, il ragazzo originario del Burkina Faso, ucciso a sprangate dai proprietari di un furgone bar, che avrebbero anche pronunciato frasi razziste, solo per aver rubato insieme ad altri amici un pacco di biscotti, devono far riflettere – e bene – tutti quanti.
Quanto avvenuto ieri a Milano è terribile e pazzesco. In una parole: barbaro. L’episodio segna il punto di ‘non ritorno’ di un società, la nostra, pronta a menar le mani con disinvoltura quando si sente solo minacciata. Ma minacciata poi di cosa? E’ questo l’interrogativo tragico della questione. Abdoul è stato massacrato per un pacco di biscotti. Una semplice goliardata, per giunta fatta insieme ad altri amici, finita in tragedia.
Il colore della pelle del giovane, poi, ha fatto il resto, risvegliando nella mente dei picchiatori di turno l’odio viscerale per il diverso. Li ha trasformati in bestie. Espressioni quali “sporco negro” e “lurido ladro”, in un sol colpo, agli occhi degli sprangatori, sono diventati un tutt’uno, una cosa sola, quella da sempre ‘temuta’…
In Italia, c’è in giro un clima pesante, generato da un propulsore valoriale di vera e propria ‘sottocultura’, frutto anche di propaganda strumentale e impresentabile di certa politica, che, soprattutto in determinate zone d’Italia, provoca ricadute nefaste.
D’ora in avanti, alla luce dell’atto razzista consumatosi tragicamente a Milano, facciamo in modo di applicare alla lettera un principio semplice ed elementare, che è però uno spartiacque magnifico tra società compiutamente civile e non: i messaggi superficiali e sbagliati, quelli che, sempre più spesso, creano inesistenti ‘fantasmi’ sociali (l’immigrato, lo straniero, il gay..), cassiamoli dal vocabolario del nostro paese, rispediamoli per direttissima al mittente. Chiunque esso sia.
Il seme dell’odio genera violenza e intolleranza. Sempre e comunque. La cultura del diverso, che costa impegno e fatica, produce civiltà. Il mostro è già in movimento: fermiamolo. Prima che sia davvero troppo tardi.