Il Vaticano: “Servono imprenditori animati non solo dal profitto”
“L’attuale crisi finanziaria che ha colpito in primo luogo gli Stati Uniti e sta avendo riflessi su tutte le economie del mondo, non costituisce forse la fine del capitalismo in quanto tale ma ‘e’ probabile che siamo di fronte alla fine di un certo capitalismo finanziario e speculativo, cresciuto troppo e male negli ultimi due decenni, di cui la crisi attuale e’ solo una (e non l’unica) eloquente espressione. Una crisi le cui cause hanno radici profonde, nel sistema finanziario ma anche negli stili di vita e di consumo”. E’ quanto scrive l’Osservatore romano, in un’editoriale a firma di Luigino Bruni, dell’Università Milano-Bicocca coordinatore del progetto dell’Economia di Comunione.
“Dopo il fallimento della Washington Mutual, che si aggiunge ai fallimenti di banche e fondi americani delle settimane recenti – scrive Luigino Bruni – e’ ormai chiaro che ci troviamo di fronte alla crisi finanziaria più grave dopo quella del ventinove”.
“Una delle ragioni fondamentali della crisi in corso va ricercata nello snaturamento del ruolo e della funzione della banca e della finanza. Le istituzioni bancarie e finanziarie sono indispensabili nell’economia moderna. La banca e’ stata, e continua a essere, una cinghia di trasmissione sociale tra generazioni (il risparmio di un adulto consente un investimento per un giovane) e tra famiglie e imprenditori’. E tuttavia ‘la malattia del capitalismo contemporaneo e’ la progressiva trasformazione delle banche da istituzioni a speculatori.
Lo speculatore e’ un soggetto il cui scopo e’ massimizzare il profitto. L’attivita’ che svolge non ha alcun valore intrinseco, ma e’ solo un mezzo per far arricchire gli azionisti’. E invece ‘nell’economia di mercato l’accesso al credito e’ un diritto fondamentale dell’uomo, poiche’ senza questo diritto le persone non riescono a realizzare i propri progetti e a uscire dalle tante trappole della miseria. Se questo e’ vero allora la banca speculatrice deve essere l’eccezione e non la regola dell’economia di mercato, se non altro perche’ i prodotti che la banca gestisce sono sempre ad alto rischio’.
‘Cio’ che i fallimenti, e ancor piu’ i salvataggi, di questi giorni stanno insegnando – afferma l’Osservatore romano – e’ che la banca e’ un’istituzione con un grande valore sociale e con una grande responsabilita’: non puo’ essere lasciata al gioco rischioso della massimizzazione dei profitti degli azionisti, a causa della pluralita’ di interessi che essa deve contemperare’. Non a caso tanti economisti chiedono che ‘la nuova e piu’ attenta regolamentazione dei mercati finanziari’ vada ‘nella direzione di riconoscere alle banche una responsabilita’ sociale che negli ultimi decenni e’ andata smarrita, nonostante una crescita esponenziale di strumenti di stima del rischio e di agenzie di rating’. E tuttavia dietro questa crisi ‘c’e’ anche una patologia del consumo delle famiglie, che dal capitalismo americano si sta estendendo a tutto l’occidente opulento. L’eccessivo indebitamento delle famiglie americane ha creato un terreno fragile che e’ crollato sotto il peso della crisi dei mutui subprime’.
In questo senso va sottolineato che ‘sempre piu’ spesso il consumo e’ sollecitato e drogato da un sistema economico e finanziario, complici i media, che induce le famiglie a indebitarsi al di la’ delle reali possibilita’ di restituzione del debito’.
‘La crisi attuale – si legge ancora nell’editoriale – puo’ dunque essere anche una grande occasione per una riflessione profonda sugli stili di vita insostenibili che l’attuale capitalismo finanziario ha determinato’, ‘occorre che anche oggi fioriscano imprenditori e banchieri animati da scopi piu’ grandi del solo profitto. Senza questi nuovi attori non ci sara’ democrazia ne’ economica ne’ politica’.