Eluana – “Il rifiuto di cure è un diritto delle persone”

INTERVISTA A STEFANO RODOTA’ – “Sulla vicenda di Eluana Englaro c’è bisogno di accortezza e di meno aggressività nel linguaggio. I giudici della Cassazione non con quest’ultima sentenza ma con una sentenza dell’ottobre 2007 hanno detto: qualora nel caso Englaro si possa accertare qual è l’effettiva volontà manifestata a suo tempo, quando era pienamente capace, da questa ragazza è ammissibile la sospensione dei trattamenti”. E’ quanto afferma Stefano Rodotà, presidente della Commissione scientifica Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali e docente di Diritto Civile all’università ‘La Sapienza’ di Roma, nell’intervista al nostro giornale.

Dopo la sentenza della Cassazione sulla vicenda Englaro molti uomini di Chiesa e politici di destra, e non solo, parlano di ‘eutanasia’ e di ‘condanna a morte’. Quale il suo giudizio?
“Io credo che in queste materie, per molte ragioni, bisognerebbe incominciare con l’essere molto accorti nel linguaggio. In primo luogo perché parole così aggressive, di fronte alla tragedia di una famiglia, che dura da 17 anni, fanno davvero dubitare anche del rispetto della pietà cristiana. In secondo luogo perché qui noi ci troviamo di fronte ad un caso che già si è verificato in altri Paesi. E’ stato ricordato in questi giorni il caso americano di Terry Schiavo: si colloca esattamente nella stessa situazione di quello italiano, cioè alla fine i giudici sono stati incaricati di stabilire se dovesse essere interrotto un trattamento oramai inutile”.

Accortezza, dunque…
“Sono state usate parole aggressive come ‘assassini’ e parole sbagliate come ‘eutanasia’ o anche ‘accanimento terapeutico’. Nel caso specifico, non siamo di fronte ad un caso di ‘eutanasia’, ma ad un caso di ‘rifiuto delle cure’. Tutto questo non è una sottigliezza perché il rifiuto di cure è da sempre riconosciuto alle persone nell’ordinamento italiano e non solo. Per esempio: i Testimoni di Geova, per ragioni legate al loro credo religioso, si sono visti riconoscere dalla Cassazione, da tantissimi anni, il diritto di rifiutare le trasfusioni di sangue, anche se questo determina la morte; c’è stato il caso di una donna che ha rifiutato l’amputazione di una gamba ed è morta; ci sono rifiuti nei trattamenti farmaceutici…”.

Qual è la situazione di Eluana Englaro?
“E’ che semplicemente oggi non sono in condizione di rifiutare le cure. In Italia abbiamo avuto due casi recenti: Piergiorgio Welby e Giovanni Nuvoli, che hanno rifiutato che continuassero i trattamenti che li teneva in vita. Il rifiuto di cure, quindi, è un diritto delle persone. Ora, il problema è semplicemente questo: si può accettare una volontà manifestata nel momento in cui si era pienamente capaci, relativa all’eventualità di trovarsi nello stato vegetativo permanente e poi, in base a tutto questo, chiedere che non si vengano attuati determinati trattamenti? La risposta, corretta, in base ai principi del nostro ordinamento è stata che è possibile nel nostro ordinamento. Sicché i giudici della Cassazione non con quest’ultima sentenza ma con una sentenza dell’ottobre 2007 hanno detto: qualora nel caso Englaro si possa accertare qual è l’effettiva volontà manifestata a suo tempo, quando era pienamente capace, da questa ragazza è ammissibile la sospensione dei trattamenti”.

Cosa consiglia?
“Occorre prudenza nelle parole: da una parte per non offendere coloro i quali si trovano in questa situazione drammatica, cioè i genitori di Eluana, e dall’altra perché le parole descrivono le situazioni. E la situazione di Eluana Englaro è molto diversa da quella che è stata qualificata da molti con parole come ‘assassinio’. Sul caso Englaro, inoltre, voglio sottolineare che non c’è nessuna unanimità nel mondo cattolico. Certamente, le gerarchie vaticane hanno un certo orientamento ma ci sono voci cattoliche autorevoli che hanno un atteggiamento o completamente diverso o molto più ragionevole. Allo stesso modo, all’interno della maggioranza di governo, ci sono voci significative che vanno in un’altra direzione. In tutta questa vicenda dobbiamo essere più rispettosi e più rigorosi”.

Italo Arcuri

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