Pagliarini: “Sul lavoro non si muore mai per fatalità”
Morire di lavoro, nel 2008. Racconta la tragedia delle morti bianche (quasi 1.300 ogni anno) il libro Uno ogni sette ore – Perché di lavoro si muore (Datanews, pp. 144, euro 13) scritto da Gianni Pagliarini e Paolo Repetto: il primo è stato parlamentare e presidente della Commissione Lavoro della Camera nella scorsa legislatura, il secondo, suo portavoce a Montecitorio, è caporedattore al settimanale “La Rinascita della sinistra”.
“Il lettore – spiega a Quinews Gianni Pagliarini – potrà sfogliare pagine di insicurezza, di paura e di speranza raccontate dalla viva voce dei protagonisti”.
Qual è stato l’obiettivo di partenza del libro?
“Abbiamo cercato di fare luce su una realtà scomoda, che troppi fanno finta di non vedere, sforzandoci di arrivare al cuore e alla mente dei familiari delle vittime degli infortuni sul lavoro. Lo abbiamo fatto raccogliendo le testimonianze di alcuni protagonisti, loro malgrado, di quella che si manifesta ormai come una vera e propria emergenza nazionale”.
A chi vi siete rivolti, dovendo scegliere “testimoni” così impegnativi?
“Abbiamo voluto tenere assieme le storie di lavoratori, sindacalisti e operatori del settore. Da Ciro Argentino (cassintegrato Thyssenkrupp) a Pietro Mercandelli (presidente dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro) passando dal responsabile edili della Cgil lombarda al medico epidemiologo, allo psicologo, agli ispettori Inps e Asl. Insomma, abbiamo raccolto la testimonianza di coloro che combattono in “prima linea” la difficilissima lotta contro gli infortuni sul lavoro”.
Avete raccontato il dramma delle morti bianche attraverso le sue storie più emblematiche…
“Non solo. Le storie rappresentano la seconda parte del testo. Nella prima abbiamo ricostruito il percorso politico e sociale che ha condotto al nuovo Testo Unico sulla salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Una legge molto impegnativa, varata dal centrosinistra pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere, nell’aprile di quest’anno. Una legge che si sforza di coniugare prevenzione e repressione, formazione e informazione”.
Una legge avversata da Confindustria e dall’allora opposizione, oggi al governo
“L’attuale ministro Sacconi da un lato e il vicepresidente di Confindustria Bombassei dall’altro, ostacolarono l’iter di quella legge, perché contestavano l’inasprimento sanzionatorio nei confronti di tutte le imprese che non mettono i loro dipendenti nelle condizioni di lavorare in sicurezza. Nella prima parte del libro abbiamo perciò intrecciato il confronto politico con il ruolo giocato dalle istituzioni e anche dai mass media”.
Perché, dunque, si muore sul lavoro?
“Innanzitutto, non si muore mai in una fabbrica o in un cantiere a causa di qualche “fatalità”. Si muore perché la sicurezza non è percepita come una priorità. Ciò accade per tanti motivi, ma su uno in particolare vale la pena soffermarsi: negli ultimi quindici anni è stata “dimenticata” l’organizzazione del lavoro, vale a dire l’incidenza dei ritmi, dello stress, della nocività e degli orari nella vita quotidiana dei lavoratori. La rincorsa ossessiva dello scarto tra l’inflazione “programmata” (introdotta nel 1993) e quella reale ha distolto lo sguardo dalle condizioni di lavoro. E quando i diritti vengono monetizzati, cala inevitabilmente l’attenzione sulla sicurezza. Così ci si infortuna di più, e spesso si muore”.