Chiediamo la “castrazione chimica”
La cosiddetta “castrazione chimica” non è altro che una terapia farmacologia, tesa ad attenuare la libido, anche chiamata “terapia antiviolenza sessuale”. L’ennesima violenza avvenuta a Roma, nel parco della Caffarella, ai danni di due ragazzi – episodio che tanto fa discutere la politica in queste ore – non permette di perdere altro tempo.
Sono necessarie misure adeguate, volte a prevenire ed a punire, efficacemente, i reati, in particolare le violenze sessuali. “Criminali” stranieri o italiani? Non è questa la questione, ciò che importa – e che deve essere chiaro – è che un violentatore, un pedofilo, deve pagare le sue azioni anche con la “castrazione chimica”, oltre che con la reclusione in carcere.
La brama compulsiva irrefrenabile che anima il violentatore o il “branco” e che li porta all’abuso sessuale deve essere eliminata quando si è certi della responsabilità e deve rappresentare uno dei più incisivi deterrenti verso tali reati. La “certezza” della responsabilità, che, visti i tempi della giustizia italiana, arriva spesso e volentieri con tempi lunghi, non deve impedire l’iinizio della ‘terapia farmacologica’, con opportuni protocolli, che ha l’indubbio merito di diminuire la libido in questi soggetti.
I casi di stupro di questi giorni portano all’attenzione dei media il grande disagio sociale che viene costantemente e quotidianamente alimentato da violenze sessuali spesso non denunciate, molte volte perpetrate all’interno della famiglia, o da “carnefici” pedofili che pagano le loro vittime o i genitori indigenti.
Esistono test ad hoc, per esempio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, i cui risultati sono positivi per una terapia che prevede una detenzione limitata nel tempo e con un’adeguata analisi di tipo psicoanalitico e l’obbligo di firma presso la Questura, poiché l’alternativa tradizionale di detenzione prolungata con la terapia psicoanalitica ha statisticamente prodotto, al momento della scarcerazione, in particolare per i “pedofili” dei soggetti più “accorti”, che reiterano il loro crimine, scarsi risultati, aumentando la loro pericolosità sociale.
Chiedere che anche in Italia si avvii un processo della “terapia antiviolenza sessuale” può essere una risposta positiva ad un dramma umano che coinvolge, prima che la società, i “carnefici”, ma soprattutto le “vittime” per tutta la durata della propria esistenza. Chiedere che la “terapia” abbia inizio, con adeguati protocolli, fin dall’arresto avvenuto con “abbastanza” elementi di colpevolezza, può diventare un forte deterrente.