Iran – Elezione del Presidente
Le presidenziali iraniane si svolgeranno il 12 giugno, 4 i candidati, i cui nomi non sempre riescono a chiarire al di fuori dei confini dell’Iran quali cambiamenti o continuità politica possano sviluppare dopo le elezioni. La breve scheda che segue è un approccio ai quattro candidati, tra questi, uno influenzerà la politica internazionale dei prossimi anni: Mahmoud Ahmadinejad, Mir-Hossein Mousavi, Mehdi Karroubi e Mohsen Rezaei.
Mahmoud Ahmadinejad, Presidente in carica, ingegnere civile ha insegnato all’Università iraniana di Scienza e Tecnologia, considerato politicamente, un conservatore religioso, è stato Sindaco di Teheran dal 2003 al 2005 per poi essere eletto Presidente il 3 agosto del 2005.
Mir-Hossein Mousavi politicamente considerato un riformista, è stato, prima della modifica costituzionale che ha abolito la carica, l’ultimo primo ministro dal 1981 al 1989 durante la guerra con l’Iraq in una situazione economica indebolita dalle sanzioni internazionali. Dopo vent’anni di silenzio politico si candida alla Presidenza ottenendo l’appoggio dell’ex Presidente Khatami.
Mehdi Karroubi presidente del parlamento iraniano dal 2000 al 2004 è un influente politico e religioso, già candidato alle elezioni presidenziali nel 2005, si definisce un seguace dell’ayatollah Ruhollah Khomeini, il leader della rivoluzione iraniana del 1979.
Mohsen Rezaei, politico, economista ed ex comandante militare, attualmente segretario del Consiglio Expediency un organismo amministrativo istituito per risolvere le divergenze o i conflitti tra il Parlamento iraniano e il Consiglio dei Guardiani, ma con la vera funzione di consulente del Supremo leader, attualmente l’ayatollah Ali Khamenei.
A partire dal 22 maggio, l’emittente di Stato trasmetterà i dibattiti presidenziali nel quadro di due distinte fasce orarie, che si concluderanno il 10 giugno, con un’equa ripartizione tra i candidati.
L’auspicio è per una vittoria del riformista Mousavi che “sembra” più aperto al dialogo internazionale per una soluzione del “disagio” e della “tensione” che vive costantemente tutta la regione, anche se nella pessimistica logica dei ricorsi storici, come dopo la rivoluzione del 79, il suo mandato da Primo Ministro, anziché essere aiutato nel mitigare l’evoluzione dell’Iran verso una transizione riformista fu attaccato dall’Occidente che sosteneva l’Iraq di Saddam Hussein. Auguriamoci che i segnali di apertura al dialogo e di disponibilità non vengano intesi come segni di debolezza, che è anche il grande dilemma odierno dell’amministrazione Obama.