Lampedusa vista dal Los Angeles Times
“Una turboelica riempita da una squadra di poliziotti italiani vestiti di blu dal Mediterraneo discende verso una piccola isola sferzata dal vento che emerge come un’apparizione dalle acque turchesi vicino alla Tunisia”. Con queste parole si apre l’articol del Los Angeles Times dedicato a Lampedusa. “Lampedusa – scrive il quotidiano californiano – è stata una base per flotte da pesca, un esilio per radicali e mafiosi, un luogo di vacanza durante l’estate, quando la popolazione si moltiplica per dieci. Oggi è la frontiera”. Lampedusa viene paragonata al confine tra Stati Uniti e Messico, nonché definita “un bastione tra due mondi” e “l’ingresso per l’Europa dove i migranti vengono contrabbandati, abusati e sfruttati”, anche con il consenso delle autorità libiche.L’articolo ricorda l’intercettazione di 34 mila clandestini nel 2008, una cifra doppia rispetto all’anno precedente. E sottolinea come prima gli immigrati venissero spesso trasportati in qualche altro centro nella penisola, dal quale erano sovente rilasciati subito. Ora, invece, coloro che non hanno i requisiti per essere legalizzati rimangono detenuti a Lampedusa in attesa di essere rispediti a casa. Un provvedimento che ha causato il raddoppio della popolazione del Cpt, giunta a duemila unità, e che il giornale collega alle tensioni scaturite negli scontri del 18 febbraio fra immigrati e polizia. La linea dura del governo nei confronti degli immigrati viene parzialmente attribuita alla Lega nord, oltre che ai numerosi crimini commessi da clandestini e alle difficoltà causate dalla crisi economica.
Le tensioni sono calate, per il momento, osserva il Los Angeles Times. Ma non gli elementi che le hanno causate. In particolare le condizioni economiche e sociali di paesi come il Sudan, la Somalia, l’Eritrea e altri stati sub-sahariani. Un altro flusso di clandestini proviene invece dal Nord Africa. Il rafforzamento dei controlli alle proprie frontiere marine da parte della Spagna ha condotto alla diversione delle rotte per molti migranti provenienti dal Marocco e dalla Mauritania. Non a caso l’anno passato il numero di clandestini marocchini arrestati è cresciuto di ben dieci volte.
Pur con tutte le cautele del caso, l’articolo attribuisce numerose responsabilità alle autorità della Libia, secondo le notizie riportate da esponenti della Croce rossa, attivisti per i diritti umani e funzionari italiani. Mentre la popolazione libica non tende a emigrare, date le condizioni di relativa prosperità garantite dalle vendite di petrolio, criminali del paese nordafricano gestiscono il trasporto di migranti di altri paesi. E le autorità di Tripoli – riportano le fonti citate dal quotidiano californiano – si renderebbero sistematicamente colpevoli di abusi nei confronti degli aspiranti emigranti. Laura Rizzello, che lavora nell’isola per la Croce rossa, conferma che tra gli africani circolano racconti da brividi, che includono stupri nei confronti delle donne e torture sugli uomini al fine di estorcere denaro alle famiglie delle vittime. Gli immigrati lavorerebbero in Libia mesi e a volte anni per guadagnare i soldi (tra 1.500 e 2.500 dollari) per un passaggio verso l’Italia.
L’articolo segnala altre pratiche raccapriccianti. Ad esempio la bruciatura o il taglio dei polpastrelli delle dita per alterare le impronte digitali. O il mostruoso mix tossico tra benzina, acqua di mare, sostanze chimiche presenti nei vestiti e urina cui gli immigrati vengono sottoposti per giorni durante le traversate nelle “carrette del mare”. Un composto che più di una volta ha causato ustioni di terzo grado. Il servizio del LA Times si chiude spiegando la ratio delle misure intraprese dal governo italiano esposta dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano: “Alla fine, ciò che provoca xenofobia in un paese come l’Italia che non l’ha mai avuta è quando la gente vede che così tanti immigrati illegali violano la legge senza ricevere una risposta seria. Se diciamo all’intero Mediterraneo che l’Italia non è l’ingresso per i clandestini, il messaggio verrà compreso da tutti”. (il Velino)