Babar colonialista? Negli Usa è polemica
Dopo ‘Tintin in Congo’, succede di essere accusati di colonialismo, suo malgrado, anche ad un celebre elefante di fantasia. Babar, famosissimo re elefante in abito verde, creato nel 1931 da Jean de Brunhoff e apparso per la prima volta nel ‘Primo libro di Babar’, una storia basata su una fiaba che la moglie del pittore francese, Cecile, aveva inventato per i loro figli, è finito sul banco degli imputati con questa ignobile accusa.Trovata pubblicitaria? Tra gli addetti al lavoro, il dubbio serpeggia.
E’ infatti in corso alla ‘Morgan Library and Museum’ di New York – e rimarrà aperta fino al 4 gennaio 2009 – la mostra dal titolo ‘Drawing Babar: early drafts and watercolors’, che presenta 170 disegni originali del pachiderma con la bombetta di Jean De Brunhoff e le successive creazioni ad acquarelli di suo figlio Laurent. Serve pompare l’evento, che già si preannuncia come un successo di pubblico e stampa.
Babar è uno dei personaggi di fantasia più conosciuti al mondo: 8 milioni di libri venduti, oltre 30 mila pubblicazioni a tema in 17 lingue diverse, una serie tv di quasi 80 episodi trasmessa in 30 lingue in 150 paesi.
Alcuni intellettuali americani, sul ‘The New Yorker’, ritengono che, successo a parte, non possono passare in sordina i giudizi politicamente e moralmente offensivi sottintesi dal padre dell’elefantino, Jean de Brunhoff, come l’esaltazione del colonialismo francese di fine ‘800. “Nei libri di Babar, dietro l’allegoria, c’è certamente il sogno coloniale delle grandi potenze”, ha accusato il critico e drammaturgo Ariel Dorfman.
La storia è semplice. Babar, dopo aver assistito all’uccisione della madre ad opera di un cacciatore, scappa dalla giungla e dopo un lungo peregrinare si ritrova a Parigi. Nella grande, sconosciuta e spaventosa città viene guidato e aiutato dalla Old Lady, un’anziana e protettiva gentildonna che lo istruisce sulla vita civilizzata. Una volta cresciuto e formato, Babar torna tra gli elefanti e ne diventa il re; poi sposa l’elefantessa Celeste, fonda una fiorente città, Celesteville, e si impegna in un’opera di civilizzazione dei suoi bellicosi sudditi, educandoli all’ordine, alla collaborazione e alla razionalità.
E’ il Babar emancipato, che torna tra gli elefanti selvaggi e che come loro sovrano li costringe a indossare abiti e a vivere in una città, a finire nel tritacarne degli intellettuali, tra cui il saggista Herbert Kohl e il critico Adam Gopnik: Babar sarebbe il prototipo dell’imperialista convinto della propria missione civilizzatrice, che impone la cultura e il sistema francese alle popolazioni coloniali. Apologia del colonialismo? Ai posteri – leggasi ‘nuovi lettori’ – l’ardua sentenza.