Capolavoro di Tiziano in esposizione
Per oltre due mesi, fino all’8 dicembre, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti offre l’opportunità di ammirare uno straordinario capolavoro giovanile di Tiziano, Il suicidio di Lucrezia, dipinto tra il 1516 e il 1517 e conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
La temporanea esposizione dell’opera nella Galleria delle statue del museo fiorentino – che proseguirà fino all’8 dicembre 2015 – è resa possibile dai festeggiamenti per i 125 anni del museo austriaco: in occasione di questo giubileo, infatti, alcuni musei europei hanno concesso prestiti eccezionali per celebrare questa straordinaria istituzione. La Galleria Palatina non poteva esimersi dal partecipare alle celebrazioni, poiché il museo di Palazzo Pitti per molti versi è storicamente “gemello” per collezioni, nato dalle raccolte dinastiche dei Medici così come quello austriaco risulta da quelle degli Asburgo, ed in ricordo dei vincoli di parentela che hanno legato le due famiglie regnanti nel corso dei secoli.
“Così, ad affiancare il maggior nucleo di opere di Caravaggio fuori dai musei italiani – ha detto il Direttore della Galleria Palatina, Matteo Ceriana – è andato l’Amorino dormiente a rappresentare la fase ultima e più drammatica del pittore. In cambio il museo austriaco ha concesso lo straordinario capolavoro giovanile di Tiziano Vecellio, Il suicidio di Lucrezia, che si apparenta magnificamente con altri dipinti veneti della Palatina del secondo decennio del secolo. La politica di scambi di opere, esposte nella sala delle statue all’ingresso della Galleria, iniziata con il Liutista di Francesco Salviati del museo Jaquemart-Andrée, dopo questa viennese proseguirà con altre opere da musei stranieri e italiani per arricchire, seppur temporaneamente, le collezioni con dipinti che strettamente si inseriscono nel contesto del museo e a creare – ha concluso Ceriana – una ragione di rinnovato interesse anche per i fiorentini che ben conoscono il loro più caratteristico museo”.
LA TAVOLA
Il dipinto, oggi esposto nella Galleria Palatina, apparteneva alla collezione del re Carlo I d’Inghilterra e venne acquistato intorno al 1650 dall’arciduca Leopoldo Guglielmo, governatore dei Paesi Bassi e grande estimatore della pittura veneta. Attraverso le indagini radiografiche eseguite sulla tavola, con il sostegno finanziario del Fondo Austriaco per la Ricerca (FWF), è stata accertata l’esistenza sotto l’immagine visibile a occhio nudo di una composizione antecedente alquanto diversa. Nella prima versione -visibile ai raggi X – si percepisce chiaramente la figura di Lucrezia minacciata da Tarquinio con il pugnale in mano.
A seguito del cambiamento di posizione di braccia e mani dei due protagonisti, operato da Tiziano, l’immagine si trasforma: Lucrezia, avendo fatto un scelta morale rigorosa, dirige il pugnale contro se stessa e l’aggressore si trasforma nel marito Collatino che la guarda senza poterglielo impedire.
La critica assegna l’opera alla seconda metà degli anni ‘20 del Cinquecento, gli anni della definitiva consacrazione a Venezia del giovane pittore cadorino. Superata la fase più strettamente giorgionesca, l’artista mette a punto uno stile peculiare caratterizzato da un impianto pittorico determinato in massima parte dal colore fluido e splendente, disseminato di tocchi di luce, che rendono una realtà di naturale concretezza, come dimostrano in questo caso la qualità tattile dei tessuti e quella tenerissima degli incarnati.
IL SOGGETTO
Lucrezia, patrizia romana figlia di Spurio Lucrezio e moglie di Lucio Tarquinio Collatino, preferì togliersi la vita piuttosto che sopravvivere al disonore di essere stata violentata da Sesto Tarquino, figlio del re Tarquinio il Superbo. L’uccisione di Sesto Tarquinio da parte del marito Collatino che onorava la promessa fatta alla sposa in punto di morte, fu all’origine della rivolta popolare contro il dominio etrusco personificato dai Tarquini (509 a. C.). Questi furono scacciati da Roma e alla monarchia seguì la nascita della repubblica (Tito Livio, Ab Urbe condita Libri, libro I, 57- 58; Ovidio, Fasti, II, 685-852).
Sin dai tempi della storiografia di età augustea, la nobildonna romana -esaltata per mirabile castità e bellezza- fu consacrata fra i modelli di virtù femminili. Di conseguenza la raffigurazione di Lucrezia nell’atto di compiere il suicidio conobbe una diffusione vastissima sia in Oltralpe con pittori quali Jorge Breu il Vecchio (1475), Durer (1518), Lucas Cranach (1535 ca.) che in ambito italiano, lombardo, veneto e ferrarese in particolare. Il Suicidio di Lucrezia di Tiziano raffigura l’eroina romana – e alle sue spalle il marito Collatino che tenta di dissuaderla dalla volontà di uccidersi- in un’immagine palpitante di vita, nella fierezza dell’azione che sta per compiere. Il pittore, assecondando un aspetto che molto colpiva i suoi contemporanei, esalta il contrasto, e paradossalmente anche l’accordo, fra la presenza viva e sensuale della donna, la sua bellezza radiosa e la morte che sta per sopraggiungere. Soprintendenza Speciale di Firenze