Una del giro
“Paul aveva un grosso appartamento in Bowery Street sin dai tempi della fine della guerra, cioè da quando la roba era tornata in circolazione. Durante la guerra, e per un certo periodo anche subito dopo, l’unico modo per trovare una dose era procurarsi una ricetta. Bisognava trovare un medico disposto a prescrivere una dose di morfina o roba simile, poi bastava scovare un farmacista abbastanza stupido o malmesso da accettare la ricetta. In seguito, però, la roba aveva di nuovo invaso le strade di New York, gli affari erano ripresi, e dopo un po’ avevano iniziato ad andare a gonfie vele. Io avevo scelto sia il momento peggiore per smettere, sia, due anni prima, quello per farmi arrestare e passare trenta giorni nel carcere femminile a disintossicarmi. Avevo trascorso tutta la guerra e i successivi tempi di magra a correre avanti e indietro da un medico a un farmacista. Ora invece si poteva comprare la roba in qualsiasi angolo di Harlem, o in centro, se avevi i puntelli giusti.”
I bassifondi di Hell’s Kitchen annegano nell’eroina, ma Josephine riesce ancora a tenere la testa a galla. Lì, in quel ritaglio di una cupa Manhattan anni ‘50, la gente del giro la chiama Joe. Ma lei con quel giro non vuole più avere niente a che fare, perché è pulita da ben due anni. Joe oggi sopravvive rubando nelle gioiellerie oppure alleggerendo le tasche dei turisti in metropolitana o degli ubriachi all’uscita dei locali. Quando i genitori di Nadine, una giovanissima tossica scappata dal college, e ora scomparsa con uno spacciatore, le chiedono aiuto per ritrovarla e le mettono sul tavolo dieci pezzi da cento, Joe sa che ci vorrà tutta la sua fermezza per farcela. Perché dovrà improvvisarsi detective e condurre l’indagine proprio nei bassifondi da cui si è tirata fuori con le unghie. In una città dove è sempre notte e dove non si deve dimenticare la regola numero uno: non fidarsi di nessuno.
Una del giro
Sara Gran
Traduzione di Sacha Rosel
Editore Longanesi
Collana: La Gaja scienza
2008, 208 pp., 14 euro