Eni – Etica di Stato: “gli affari sono affari”
Lo Stato italiano ha, con il 30% del capitale ed attraverso la golden share, il controllo effettivo dell’Eni, è lecito porsi dei quesiti da cittadino e contribuente sulla sua gestione finanziaria e sulla responsabilità etica e morale dei progetti.
Due i progetti su cui porre l’attenzione: uno in Nigeria e l’altro in Kazakhstan.
L’Eni è presente in Nigeria sin dal 1962. Tramite l’AGIP, l’Eni partecipa allo sfruttamento di diversi giacimenti petroliferi nella regione del Delta del Niger, dove uno dei fenomeni più nocivi per l’ambiente e le popolazioni locali è quello del gas flaring: bruciare a cielo aperto il gas naturale collegato con l’estrazione del greggio. Con il gas flaring si disperdono nell’aria tossine inquinanti, come il benzene, che sono accusate di provocare tra le popolazioni locali l’aumento di tumori e di malattie respiratorie quali la bronchite e l’asma. Ma oltre a questo c’é anche il problema delle piogge acide, susseguenti proprio al gas flaring, che contribuisce in maniera massiccia ai cambiamenti climatici. La regione del Delta del Niger; da sola, produce 70 milioni di tonnellate di C02 all’anno, ovvero più delle emissioni di Norvegia, Portogallo e Svezia messe insieme, o più di tutti i Paesi dell’Africa sub-sahariana. La cosa preoccupante è che il gas flaring in realtà è illegale. La Nigeria ha dichiarato ufficialmente illegale la pratica del gas flaring sin dal lontano 1979, concedendo un periodo di cinque anni alle imprese per mettersi in regola. Di anni ne sono passati quasi trenta, e il gas flaring continua ad essere prodotto da tutte le compagnie. Ad aprile del 2006, l’Alta Corte di Giustizia della Nigeria ha dichiarato che il gas flaring “va contro il diritto alla vita, alla salute e alla dignità”. Nel novembre del 2007, un giudice dell’Alta Corte federale nigeriana ha stabilito che il gas flaring viola i diritti umani delle popolazioni locali e che la joint venture alla quale partecipa anche Agip, responsabile del fenomeno, deve immediatamente cessare di farvi ricorso. Ad aprile del 2008, è stato presentato alla Corte Federale di Abuja un esposto contro sei compagnie petrolifere, tra cui la Nigeria Agip Oil Company Ltd, accusandole di avere sfruttato il gas flaring e di avere liberato per circa cinquant’anni sostanze chimiche nocive nell’atmosfera, nella regione del Delta dei Niger, chiedendo il risarcimento di 5 trilioni di naira nigeriani, pari a oltre 26 milioni di €uro, per i danni subiti. L’attenzione e la pressione internazionale, ma anche le azioni legali legate al fenomeno del gas flaring, sono aumentate rapidamente negli ultimi anni. Secondo il sito della stessa Eni “i progetti di valorizzazione del gas prevedono l’eliminazione della pratica del gas flaring entro maggio 2012 in Congo ed entro il 2011 in Nigeria”. Considerando che questa pratica è illegale da quasi 25 anni in Nigeria, l’Eni dovrebbe adottare dei passi concreti per garantire la fine di ogni operazione di gas flaring nel più breve tempo possibile per motivi umanitari e ambientali. Altro progetto su cui porre l’attenzione riguarda l’intervento dell’Eni in Kazakhstan, in particolare il giacimento di Kashagan, che è il più grande giacimento petrolifero non ancora esplorato scoperto negli ultimi trent’anni.
In quanto operatore, Eni è responsabile della costruzione degli impianti offshore e su terra del progetto e della gestione delle emissioni e dello stoccaggio sicuro dello zolfo. Sono diverse le condizioni che rendono particolarmente complesso il compito per Eni.
La struttura geologica del giacimento, l’alta percentuale di solfati (16-20%), la sua locazione offshore in un mare chiuso e senza status internazionale definito, il fatto che Kashagan si trova a oltre 5.000 metri sotto il fondo del mare, in un’area dove il Caspio è profondo solamente tra i 2 e i 4 metri, quasi interamente gelato tra novembre e marzo, la pressione molto alta della riserva (800 bar) unita all’utilizzo della re-iniezione del gas nel giacimento, rappresentano alcune delle difficoltà legate allo sfruttamento di questo giacimento. Secondo l’istituto del petrolio e gas di Atyrau, ogni tonnellata di petrolio estratto da Kashagan genererà circa 110 Kg di zolfo che, a contatto con gli agenti atmosferici e per le condizioni climatiche estreme della regione, muta velocemente composizione divenendo acido. Il suo stoccaggio in grandi quantità rischia di diventare la principale causa di piogge acide nella regione.
Questo non ha soltanto una conseguenza di tipo ambientale ma dà una notevole incertezza sui tempi ed i costi del progetto. II piano di sviluppo presentato da Agip KCO nel gennaio 2003 propose di spostare l’inizio della produzione dal 2005 al 2007. Dopo un anno di trattative, il piano di sviluppo venne approvato nel febbraio 2004 e l’inizio della produzione posticipato al 2008, con il picco della produzione previsto per il 2016. I costi stimati passarono a 29 miliardi di dollari e il consorzio consentì di pagare una compensazione per i ritardi al governo kazako di 150 milioni di dollari. Nel febbraio 2007 Eni dichiarò che la produzione non sarebbe iniziata fino alla seconda metà del 2010, con il picco previsto nel 2019, mentre i costi di sviluppo aumentavano. Secondo un articolo pubblicato sul Financial Times il 13 maggio 2008, Agip KCO avrebbe intenzione di posticipare ulteriormente la chiusura dei lavori, spostandola dalla fine del 2011 alla fine del 2012, contribuendo ad aumentare ì dubbi e le incertezze rispetto al progetto. Nel luglio 2007 il Primo Ministro kazako ha dichiarato che i costi complessivi del progetto erano aumentati a 136 miliardi di dollari. Il 20 marzo 2008 l’Agenzia di stampa Reuters ha riportato la decisione della Corte Superiore di Giustizia del Kazakhstan, per Eni e BG, operatori del consorzio KPO, di pagare una multa di 15 milioni di dollari per le emissioni oltre i limiti prevista dalla legge kazaka nell’impianto dì Karachaganak, uno dei serbatoi più grandi del mondo di gas condensato dove nel 1992 Agip (ora Eni) è subentrata. Il consorzio ha contestato la decisione e deciso di ricorrere in appello. La violazione della normativa ambientale kazaka conferma i segnali degli ultimi mesi: anche in ragione dei difficili negoziati su Kashagan, il governo kazako appare scontento e deciso ad aumentare i controlli e le sanzioni legate alle violazioni in materia ambientale.
Esposizione finanziaria, rischi ambientali, pratiche illegali, violazione del diritto alla vita, quale etica di Stato può giustificare tutto ciò?