L’Angola al voto nel silenzio assoluto
L’Angola torna al voto. E’ una notizia importante e fa impressione che i media, anche italiani, non la trattino come tale. Dopo aver raccontato in lungo e in largo la guerra civile che ha attraversato il paese per 16 lunghi anni, una cappa di silenzio mediatico mondiale sembra stazionare sull’evento.
In Angola, oltre otto milioni di elettori, su una popolazione di 17 milioni di persone, sono chiamati alle urne per eleggere 220 membri dell’Assemblea nazionale, 130 circoli nazionali e 90 circoli provinciali, tra 5198 candidati di 10 partiti e quattro coalizioni, a sedici anni dalle ultime elezioni, avvenute nel 1992.
Un momento storico che il paese sta vivendo con entusiasmo. I risultati, che non arriveranno prima di una settimana, sono molto attesi. L’Angola è il primo produttore di petrolio dell’Africa, ha un tasso di disoccupazione di oltre il 25%, con il 70% della popolazione che vive con soli due dollari al giorno. Nel paese è forte il divario tra ricchi e poveri, che non si attenua soprattutto nella grandi città, Luanda, Huambo, Benguela, Lubango.
L’Mpla, il Movimento Popolare di Liberazione dell’Angola del presidente in carica, Jose’ Eduardo dos Santos, il partito al potere da circa 30 anni punta, ad ottenere una larga maggioranza che gli consenta così di cambiare la Costituzione.
A sei anni dalla fine della guerra civile, che per 27 anni ha sconvolto l’Angola, sono grandi le aspettative della popolazione. Il risultato delle elezioni del ’92 aveva riportato il Paese in uno stato di guerra civile. L’Unita – l’Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola – uscita sconfitta dalle urne, ha ripreso le armi contro il governo, facendo riesplodere uno dei conflitti africani più sanguinosi, in cui sono morte quasi mezzo milione di persone.
Secondo molte organizzazioni internazionali, come il Human Right Watch, il governo intasca i proventi del petrolio, oltre ad esercitare un controllo pressoché assoluto sui media del paese. Per l’organizzazione non governativa statunitense ciò non permetterà lo svolgimento di elezioni democratiche. Per questo in Angola sono in arrivo osservatori internazionali inviati dall’Unione europea, dal Sadc – la Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe – dagli Usa e dalla Comunità delle autorità di lingua portoghese.